La memoria nella filosofia antica

Memoria Narrante

Libri D'Amato DA Me
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La memoria secondo Platone

Nella filosofia antica la nozione di memoria si connette con il problema della possibilità di un sapere inconscio cui essa dà luogo. Alla sua soluzione sono legate sia la concezione platonica sia quella aristotelica.

In Platone la memoria (μνήμη) è una sorta di serbatoio delle conoscenze, in cui l’anima accoglie e ritiene le impressioni; sulla differenza tra questa memoria inconsapevole e la reminiscenza consapevole (ἀνάμνεσις), attivata in occasione dei richiami associativi della conoscenza sensibile, Platone imposta poi la sua dottrina sulla conoscenza delle idee come reminiscenza di un sapere che l’anima avrebbe acquisito nella sua precedente esistenza. Pur senza aderire alla dottrina gnoseologica platonica dell’anamnesi, Aristotele riprendeva la distinzione di Platone su basi psicofisiologiche nel De memoria et reminiscentia, dove la memoria è concepita come una funzione che conserva e fissa…

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Alla ricerca della memoria perduta

Memoria Narrante

“Alla ricerca del tempo perduto”

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L’opera stratiforme di Marcel Proust “A la recherche du temps perdu” – “Alla ricerca del tempo perduto”- si compone di sette volumi. Nel primo, “Dalla parte di Swann”, un celebre brano narra un episodio banale in apparenza, ma che ha il potere di rievocare le emozioni sopite del protagonista, sin quasi a sconvolgere i suoi sensi in una cascata di sensazioni.

“Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati madeleine, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E, poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra…

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Laboratorio lettura e bambini

Vi aspetto a Elnòs Shopping di Brescia il 26 maggio 2019 dalle 10.30 in poi.

Venite in tanti con i vostri figli, nipoti, fratellini o sorelle per un bel momento di condivisione, ascolto della fiaba di Tempo e della sua numerosa famiglia, tratta da Le favole dentro la borsa di Giuseppina D’Amato, e disegno sul tema delle stagioni e dello scorrere del tempo.

Le favole dentro la borsa Giuseppina D’Amato

Libri D’Amato DA Me

Il mio tempo, un’adolescente negli anni ’60

Le favole dentro la borsa

L’anima segreta: il giardino della poesia

Storia di Lin

Dove nasce la poesia, rinascita

Il mio tempo, 1977

La viandante dentro il lapislazzuli

Quattro storie sulla speranza

Revontulet: la volpe di fuoco

Come la marea

Il profumo della passione

I segreti di Nurica: plasma

Cristina, ragazza strana, scrittrice cresciuta con i giocattoli impigliati nei capelli della sua Fantasia

Dieci fiabe di cento parole per il lockdown

La figlia del sole: il diario di Jasmine Burton

Il mio tempo: 1977

Dal 25 al 30 marzo offertalibro gratisIl mio tempo: 1977

di Giuseppina D’Amato. Leggi l’anteprima.

Scarica l’e-book gratuito.  

Leggilo nel tempo libero, dove e quando vuoi.

Il romanzo narra le vicende di  Michela Visconti, già protagonista de “Il mio tempo: un’adolescente negli anni ’60” ormai adulta, universitaria in un momento storico e sociale difficile, dove anche le relazioni fra coetanei sono ambigue e, spesso, fugaci.

“Il mio tempo: gli anni ’70” è il secondo volume della Trilogia “Il mio tempo”.

Per descrivere il romanzo ripropongo un articolo recente.

Ringrazio Orso Bianco |Gian Paolo Marcolongo per la recensione sul sito Amazon.

Sinossi – Il mio tempo, gli anni ’70

I protagonisti

Il mio tempo: gli anni ’70 si svolge nel 1977.

Michela Visconti, la protagonista del romanzo storico contemporaneo, è prossima alla Laurea in Psicologia all’Università La Sapienza di Roma. La sua esistenza ruota intorno allo studio e alle prime esperienze sentimentali, quando nella sua vita irrompe una misteriosa “biondina”.Il Movimento – Il mio tempo: gli anni ’70Nel romanzo Il mio tempo: gli anni ’70, le giornate di Michela e dei suoi amici scorrono sempre uguali, finché il Movimento degli anni ’70 sconvolge le loro vite e il loro tempo. Allora vediamo i giovani animarsi e lottare per la libertà e l’uguaglianza a fianco degli “attivisti” e degli “indiani metropolitani”. Anche Michela fa la sua parte e prende parte alle manifestazioni per l’emancipazione femminile insieme alle femministe delle quali condivide principi e valori.

La trama – Il mio tempo: gli anni ’70

La vicenda del romanzo Il mio tempo: gli anni ’70 è incentrata sul Movimento del ’77, un tempo storico difficile, segnato da contrasti e scontri – talvolta violenti – fra studenti da una parte e politici e sindacati dall’altra. Questo è il tempo che segna la perdita dell’innocenza per molti giovani, alcuni dei quali imbracciano le armi, mentre i meno risolti scelgono la droga. Ebbene, ci si domanda: quale cammino imboccherà Michela? e i suoi amici quale via sceglieranno per il futuro?

Incipit – Il mio tempo: gli anni ’70

Il mille novecento settantasette fu un anno terribile per l’Italia e per molti studenti. Ma fu una data risolutiva per Michela Visconti.

Sono in ritardo

“Sono in ritardo. Fuori tempo massimo. Caspita. Non ci sarà un solo posto, e dovrò ascoltare la lezione in piedi”, pensò, mentre beveva l’ultimo sorso di latte e caffè che aveva preparato in gran fretta. Con gesti rapidi poggiò la tazza sul lavandino nell’angolo cottura del bilocale da studentessa universitaria fuori sede. Poi la risciacquò sotto l’acqua corrente.

I preparativi

Subito dopo, prese un blocco per gli appunti sullo scaffale della libreria ingombro di ceramiche dalle tinte intense, e lo pose nella capiente sacca di pelle appesa al pomello. Si sbrigò a togliere il pellicciotto di castorino sintetico dall’appendiabiti, lo indossò, e chiuse gli alamari. Staccò la Tolfa e passò la tracolla sulla testa. “Ahia, accidenti”, imprecò, districando una ciocca impigliata nella chiusura metallica. Ciononostante sistemò il manico su una spalla e di traverso sul petto in modo da porre la Catana lungo un fianco.

Scese di corsa la rampa di scale

Nella specchiera vide i capelli annodati su una tempia, e un ciuffo dritto in aria. Indossare la borsa equivaleva a ritrovarsi arruffata o con qualche ciuffo strappato dalla fibbia. A rapidi tocchi sistemò la frangia e le bande laterali sulle spalle. La chioma incorniciò l’ovale del volto ancora acerbo in cui spiccavano i vivaci occhi verdi. Infine richiuse la porta dietro di sé, e scese di corsa la rampa di scale prima di giungere al portone, affacciato su Via dei Sabelli.

La folla

Uscì in fretta dal palazzo per recuperare un po’ di tempo. Doveva prendere gli appunti, poiché quello era l’ultimo esame prima della dissertazione. Era necessario passarlo, altrimenti avrebbe dovuto discutere la tesi alla prossima sessione di Laurea. Non poteva permettersi il lusso di temporeggiare. Desiderava terminare quel percorso e iniziare la specializzazione al più presto.
S’incamminò a rapidi passi, e proseguì tra la folla, urtando le persone.
«Scusi. Permesso», ripeteva, mentre proseguiva sotto gli sguardi degli uomini e dei ragazzi, attratti dalla graziosa figura esile, ma di una morbida armonia. Per fortuna, abitava accanto alla sede del Corso di Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma e, dopo una breve corsa, giunse sull’inizio della spiegazione. Giusto in tempo.

L’aula rigurgitava studenti

L’aula rigurgitava studenti, come aveva immaginato.
Adocchiò una seggiola libera vicino alla porta posteriore, e vi prese posto. Seguiva Organizzazione e gestione delle risorse umane e prendeva appunti con la solita diligenza. Però faticò a concentrarsi, poiché lo studente vicino a lei si agitava. A un tratto, il tizio si voltò verso una biondina che stava in piedi sulla soglia. Le parve di vedere dei cenni d’intesa fra loro, ma vi diede scarso peso, pertanto continuò ad ascoltare, nonostante l’irrequietezza del ragazzo.

La biondina

D’impeto, il tizio raccolse dal pavimento i propri libri e un eschimo dall’aspetto vissuto. Poi si alzò, e uscì, passando accanto alla Biondina. Allora la biondina, magra coi capelli dritti e lunghi sulla schiena, sedette accanto a lei. Prima sfilò dal collo la capiente borsetta con le frange, infine la poggiò per terra, e prese a scrutarla. Lo sguardo indugiava con strafottenza su di lei. L’evenienza la infastidì e incominciò a provare un certo imbarazzo, misto a un’inspiegabile inquietudine.

Fobie sociali

Sentirsi minacciata o in pericolo quando si aggirava per le vie intorno alla facoltà era una costante. Negli ultimi tempi, ella sognava di venire accoltellata alle spalle da misteriosi soggetti incappucciati. Se ne curava poco e attribuiva i sogni e le sensazioni minacciose alle sue fobie sociali. Mentre il professore spiegava la Teoria della Gestalt, si volse verso la vicina. Poi accennò uno stiramento delle labbra senza sorriso, e la fissò con occhi piccoli e indagatori. Era una tipa interessante, si disse. L’aria assorta e misteriosa le conferivano un fascino particolare, quindi decise di salutarla allo scopo di capire il motivo di tanta insistenza.

La conversazione

«Ciao», eruppe brusca. La tizia rispose.
“Mi pare di conoscerla. Non so chi sia esattamente, ma l’ho già vista in giro”, pensò, mentre la memoria fotografica passava in rassegna i visi incontrati a mensa, alle riunioni politiche e ai collettivi studenteschi.
«È interessante la lezione», asserì la tipa, convinta.
«L’argomento è complesso, ma degno d’attenzione», lasciò intendere che avrebbe voluto ascoltare il professore.
«Non riuscirò a preparare l’esame per il prossimo appello», comunicò la Biondina.
Le sfuggì lo scopo. “Che me ne frega se lo fa”, le passò per la mente in un primo momento. Invece, domandò «Come mai?» e si trattò di pura cortesia. Forse la nuova arrivata era in vena di chiacchierare per solitudine o qualche altra ragione a lei ignota.
«Troppa roba da studiare. Ho poco tempo.» L’altra la scrutò. Il suo istinto rimosse il disagio, lo faceva sempre davanti alle situazioni ansiogene per buona educazione o evitamento.
«Hai problemi?, stai male?, lavori?» offrì una gamma di risposte che avrebbe voluto udire. Del resto molti studenti fuori sede erano costretti a lavorare per mantenersi agli studi.
«Mi occupo d’altro oltre lo studio. Sto per partire.» La spiò di sottecchi, mentre lei continuava a prendere appunti.
«Sono costretta a studiare. Voglio superare l’esame.»
«Così credi tu», disse la Biondina.

La minaccia

L’insolita replica la sorprese. Si stupì, convinta d’aver udito male. “Vaneggia a 70 gradi”, realizzò, l’aria impacciata, come quando le sfuggivano le situazioni.
«È l’ultima prova. Devo superarla. Altrimenti posso dire addio alla discussione della tesi la prossima sessione estiva. I testi sono già pronti. Devo farli correggere alla professoressa, e ricopiarli a macchina», quasi si giustificò. Non voleva sembrare un’arrogante con la pretesa di passare al primo appello e a tutti i costi.
«Pensi di laurearti a giugno?» insistè la tizia.
«Sì», replicò in  tono perentorio. Si stava incavolando, e pensava “Ha rotto le balle.”
«Lo vedrai. Vedrai», minacciò la sconosciuta.
Si rabbuiò, le ciglia socchiuse. «Ma di che parli?» incredula, pose la domanda e attese una risposta, ma invano. “

Il mio tempo: gli anni ’70, romanzo di Giuseppina D’Amato.

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Il profumo del tempo

Cafiero Filippelli - Al focolare - Olio su tavola - cm. 27,8x31,8
Cafiero Filippelli, Al focolare – olio su tela

I ricordi sono profumi
e il passato ne è impregnato,
come la mia memoria.

Odorava di latte e caglio,
all’alba, la cucina di nonna Bepi
e l’acre si fondeva al dolce nel bianco coagulo.

I sensi percepivano il sapore caldo,
la fiamma del fuoco sul viso
e le monachelle che si libravano su per il camino.

Si perdevano tra il fumo e la fuliggine scura,
la fantasia si accendeva nei bagliori del focolare
e il corpo, freddo della notte, si scioglieva nel buono.

 

monachelle = scintille

Capodanno… 100 anni fa

Odio il Capodanno” di Antonio Gramsci, 1 gennaio 1916.

Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.
Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione.

Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi…  la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti…
Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.

Antonio Gramsci, 1° Gennaio 1916 – Avanti! edizione torinese – “Sotto la Mole”